CONSIGLIATA DA ORIENTASERIE
Ben e Jess fanno conoscenza a una fermata d’autobus: da questo incontro, una sorprendente storia assieme. Salto temporale: ora Ben è amaramente solo. Jess non fa più parte della sua vita: quanto avvenuto nel mezzo, sono dei progressivi flashback a svelarlo. È così anche per la giovane attrice Emma, che Ben conosce in occasione di un’intervista: anche lei si porta appresso un’ingombrante e dolorosa memoria, raccontataci passo a passo. Dove li condurrà il nuovo capitolo delle loro storie? È l’inizio di un nuovo amore?
You & Me è una classica love story: troppo classica, data la prevedibilità di alcune svolte e la tipicità di certi ostacoli interiori che, com’è tradizione del genere, complicano e rimandano la definitiva unione dei due amanti. Fortunatamente, complici le frequenti alternanze temporali, la miniserie riesce comunque a offrire delle sorprese; e i suddetti ostacoli possiedono pur sempre un non così consueto riverbero esistenziale, dando occasione di trattare del rapporto con Dio, del significato della parola «fede» e del contributo che quest’ultima può dare o meno alla strada di ognuno.
Anche se Dio non viene subito chiamato in causa, una strana magia sembra essere all’opera, fin dal giorno in cui Ben e Jess s’incontrano: un profumo di avventura che permea tanto l’istante dell’innamoramento, quanto la loro quotidiana vita assieme.
Non così nel momento in cui Ben, tempo dopo, ci appare di nuovo single: la magia si è dissolta e Ben, che credente non lo è mai stato, è meno che mai interessato a cercare aiuto in qualunque entità sovrumana. Quel che la serie sembra sforzarsi di fargli esprimere è che la fine della storia con Jess, per lui, non è appena motivo di dolore: è un’esperienza di disillusione, propria di chi stenta a riporre speranza nelle realtà che pur continuano ad essere presenti e a circondarlo, perché ritiene che quella stessa realtà abbia fatto appena cadere il proprio velo, mostrandosi nella sua deludente verità. Non è lui a non accorgersi del mondo: sono quanti vogliono essergli di sostegno a non comprenderne l’autentica stoffa. Perlomeno non la stoffa che ha per lui: quella di una felicità negata. Quanto a Dio, quando mai Ben ha avuto tempo da perdere nelle favole?
Alle sue ombrose conclusioni sembra spingerlo la semplice constatazione che, da quanto accade, non si torna indietro: l’esistenza non ammette status quo. Perciò, lo sconforto provocato dall’esperienza con Jess è per sua natura insuperabile. Non meno scoraggiata dal proprio passato è Emma, cui pur dobbiamo una meditazione sul significato dell’espressione – intraducibile dal doppiaggio italiano – «falling in love», che in lingua inglese significa, letteralmente, non «innamorarsi», ma «cadere in amore». L’innamoramento è una caduta, un evento non programmabile, che la vita non affida alla volontà del soggetto, ma riserva a sé stessa di procurare. Nonostante Emma intenda la caduta come uno sgradito «incidente», la storia suggerisce come né lei né Ben abbiano alcun potere sull’evenienza che l’amore, volenti o nolenti, li colpisca di nuovo. Le novità che li attendono, nel bene e nel male, non dipendono da loro: l’irreversibilità del passato non equivale all’annullamento di orizzonti ulteriori. Un problema resta tuttavia aperto: le cadute possono ferire. Che è quanto, in fondo, tormenta Ben più di ogni altra cosa: il rischio di soffrire di nuovo.
Cosa dunque si chiede a un essere umano, dato che l’innamoramento non è in mano sua? E come affrontare l’assenza, come viene detto, di «scudi corazzati» contro il dolore?
Ecco entrare in gioco il significato della parola «fede», identificata con la rinuncia a far previsioni su quel che accadrà poi: avere «fede» significa lasciarsi conquistare quando un bene compare innanzi. Non si tratta di tuffarsi nel buio, di procedere alla cieca, ma di concedere spazio a ciò che si manifesta come bene fin da subito. In questo senso, la fede non ha innanzitutto a che fare con l’ultraterreno, ma col concedere agli eventi terreni di entrare a far parte della propria vita: eventi che, in quanto non prodotti da mano d’uomo, saranno sempre e comunque «sovrumani». In definitiva, la fede è già quotidianamente coinvolta nell’esistenza, nella modalità stessa dell’agire umano, che sempre presuppone di fare i conti con ciò che umano non è: l’imprevedibilità delle circostanze, specialmente di quell’imprevisto per eccellenza che è l’amore.
Quanto al dolore, la convenienza a mantenersi vulnerabili agli eventi pare estendersi anche ad esso: difendersene non è la soluzione. Tuttavia, pur dichiarando che nemmeno la fede ne promette l’eliminazione, la storia non chiarisce del tutto la sua risposta in merito.
Non solo: in fin dei conti, You & Me sembra far coincidere il non opporre resistenza al bene col correre dietro al sentimento. Come da tradizione romantica (tuttora ben viva nell’audiovisivo), l’amore è una seducente e sublime potenza che non sente ragioni. Se certe ferite sono ineluttabili, quell’inesorabile forza del destino che è la passione lo è ancora di più: difatti, la riflessione di You & Me non procede troppo oltre il momento inaugurale dell’innamoramento. Il che, più che aprire la porta sui sorprendenti casi della vita, sembra trascurarli in nome di una mera esaltazione della «caduta». La porta che sembrava volersi dischiudere sui sorprendenti casi della vita, forse è aperta su uno soltanto: quando si è in «caduta», tutto il resto è un trascurabile dettaglio. Da una fiducia negli accadimenti, a quella in una fiaba: in ultima analisi «fede» significa questo? È una fiaba anche l’amore, con tanto di tracce divine al suo interno? Ma non eravamo contrari alle favole?
Marco Maderna
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