1979. L’imprenditore Jerry Buss investe tutto – anche quello che non ha – nell’acquisto della società di pallacanestro Los Angeles Lakers. La squadra arriva da stagioni povere di vittorie: gli ambiti anelli NBA sembrano un miraggio. La stella della squadra, Kareem Abdul-Jabbar, si è appena convertito all’Islam e pare ormai più interessato ai cambiamenti sociali che agli allenamenti. L’allenatore Jerry West passa le notti insonni pensando alle occasioni sprecate durante gli anni da capitano dei Lakers, quando i rivali di sempre – i Boston Celtics – vincevano sempre nelle finali, costringendolo alla nomea di eterno secondo.
Una ventata di positività la porta il primo acquisto di Buss alla guida dei Lakers: si tratta di Earvin Johnson, ma tutti lo conoscono già come Magic Johnson. Giovane, talentuoso, arrogante e nero. Il suo rivale in lizza per il miglior debuttante della stagione è il biondo Larry Bird, acquistato dai Boston Celtics.
Insomma, come negli anni precedenti, è sempre Celtics contro Lakers, Boston contro Los Angeles, tradizione contro il nuovo che avanza. La sfida di Jerry Buss non è solo cambiare il risultato di una finale e volgerlo finalmente in favore dei Lakers, ma quella di creare una dinastia. Di rimanere nella memoria degli americani e del mondo intero.
Di fondare un impero.
Il valore del successo è il tema su cui si concentra la serie e sul quale i suoi personaggi si affrontano, scontrandosi a colpi di parolacce e distraendosi con sesso, alcol e droga. Una serie pertanto riservata a un pubblico maturo.
“La felicità distrae”.
Questa frase, pronunciata dall’ex allenatore dei Lakers Jerry West al giovane Magic Johnson appena prima della finale, può essere considerata il messaggio che gli autori della serie intendono lasciare al pubblico. Adam McKay, ideatore della serie e regista del primo episodio, conosciuto per la regia di Vice e il più recente Don’t Look Up – la cui recensione è disponibile su scegliereunfilm.it – con Winning Time tratta da vicino un’altra tematica cara agli americani: il successo.
Nello sport – quello sano – la vittoria non è lo scopo principale. È sicuramente il premio più ambito per giustificare gli sforzi fatti, ma non da ottenere a tutti i costi, anche con mezzi illeciti. Ogni gioco – match, gara, partita che dir si voglia – ha infatti delle regole, e come tali devono essere rispettate da ogni partecipante. È così che ognuno di essi trova soddisfazione nel gareggiare. Un appagamento condiviso, molto simile al concetto di felicità.
Ma vincere è un’altra cosa. Vince solo uno e il secondo è il primo dei perdenti. Si può vincere insieme, certo, quando si parla di concetto di squadra, ma anche qui solo una alza il trofeo, mentre le altre stanno a guardare.
Questa è forse la prima regola non scritta dello sport: tutti vogliono partecipare, ma solo alcuni vogliono davvero vincere, perché per vincere servono dei sacrifici che la maggior parte dei partecipanti non intende o non riesce a fare. Gli allenamenti non bastano, la fatica neanche: serve concentrarsi su se stessi e lasciare il mondo fuori. Anche ciò che si ama, anche ciò che rende felici.
Per questo spesso i vincenti sono soli e conducono vite che la gente giudica fuori dall’ordinario. Ansia e depressione sono le fedeli compagne della vittoria, e questa serie le tratta da vicino, fa capire come siano l’amaro calice da bere quotidianamente. Un calice che inevitabilmente assaggia chi sta vicino a chi vive per la vittoria.
Winning Time parla principalmente di questo, mostrando i suoi personaggi lottare per conquistare la vittoria tentando di non perdere il contatto con la vita e con i cari attorno a loro. Il protagonista della serie, il proprietario dei Lakers, dovrà affrontare anche la malattia della madre, cercando di ritagliarsi del tempo per starle vicino. Ma chi vende intrattenimento sa che lo show deve andare avanti. E infatti, mentre prova a mantenere il rapporto con la madre e con sua figlia – che nella vita reale gli succederà nel 2013 alla guida dei Lakers – Jerry Buss stravolge l’NBA e l’idea stessa di sport: non solo competizione, ma intrattenimento. Belle ragazze, vip, balli, il paradiso in terra. Una promessa di felicità. Che, però, non fa rima con vittoria.
Claudio F. Benedetti
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