Tutto chiede salvezza
“Attraverso ogni atomo di materia, tutto mi chiede salvezza. Ecco la parola che cercavo, salvezza. Per i vivi e per i morti, salvezza (…) per i pazzi di tutti i tempi, ingoiati dai manicomi della storia”.
Queste sono le parole di Daniele, il protagonista della miniserie italiana diretta da Francesco Bruni nel 2022, ora disponibile sulla piattaforma Netflix, che racconta nel corso di sette episodi della durata di circa 45 minuti ciascuno la storia di un giovane ragazzo che si sveglia in un CSM e scopre di doverci rimanere per una settimana. Lui però non ricorda cosa sia successo e non ha voglia di perdere tempo insieme “ai pazzi”.
La miniserie rientra nel genere teen-drama, che tratta del passaggio dall’adolescenza all’età adulta alla ricerca della propria identità. Il copione spazia tra vari temi. Il principale sono le malattie mentali e altri problemi ad esse connessi come il suicidio, l’autolesionismo, l’uso di droga e le dipendenze, la violenza e le difficoltà nei rapporti sentimentali e familiari. Non mancano anche accenni ad omofobia e razzismo.
L’approccio alla narrazione scelto mostra le giornate facendole corrispondere alla durata degli episodi e questa decisione contribuisce a coinvolgere il destinatario, che si sente parte del percorso di TSO affrontato dai personaggi. Inoltre, il prodotto è reso accattivante dall’uso di flashback e di scene di allucinazioni o pensieri ossessivi, che interrompono la narrazione principale.
Ciò che traspare e anima la storia è l’odio per le ingiustizie vissuto da Daniele, la sua ricerca del perché delle cose e del proprio posto nel mondo. Al contempo, la serie mostra la complicità e lo spirito di solidarietà che lega i protagonisti, che si supportano a vicenda. Nonostante la tristezza e la pesantezza delle esperienze vissute dai ragazzi, l’accento romano tende a sdrammatizzare alcuni momenti di tensione e la visione risulta piacevole poiché permette agli spettatori di immedesimarsi ed empatizzare con delle situazioni che, purtroppo, ancora oggi sono troppo spesso sottovalutate, ignorate o di cui, semplicemente, si evita di parlare, talvolta per paura, per estraneità all’argomento o per evitare di sentirsi impotenti e di conseguenza risentirne emotivamente. La fiction si propone, infatti, di sensibilizzare e avvicinare il pubblico al tema del disagio psicologico e cerca di rompere il tabù che riguarda le persone affette da malattie mentali.
Il messaggio è sicuramente molto potente e il tema trattato è altrettanto delicato e forse per questo in certi aspetti risulta essere censurato ed edulcorato. Effettivamente, nonostante lo spettatore si senta emotivamente vicino ai protagonisti, questo sentimento rischia di essere solamente parziale e apparente, dal momento che il racconto televisivo in quanto tale tende a nascondere certi aspetti ritenuti sensibili, rafforzando il pregiudizio. Per esempio, viene ricostruita solo in parte quella che è davvero l’esperienza del TSO: è tralasciato l’aspetto traumatico che in molti casi si somma al disagio che già si sta vivendo. Inoltre, non è rappresentata la caoticità, la disorganizzazione delle strutture e i problemi legati ai programmi di interventi spesso non adeguati poiché non prevedono fasi successive a quelle di emergenza e contenimento, che invece dovrebbero proseguire fino alla riabilitazione e al reinserimento.
Si tratta comunque, nel complesso, di una rappresentazione valida di un argomento difficile, adatta a un pubblico che va dai tredici anni in su. Malgrado non corrisponda del tutto alla realtà, la mancanza di un tentativo di denuncia nei confronti degli istituti di psichiatria è colmata dalla presenza di numerosi valori morali positivi e dal messaggio di speranza che conclude l’ultimo episodio.
Cannolicchio Sveva, Bortone Annalisa, Gironi Diego, De La Cruz Joseph (3ALS)