RECENSIONE DEI PRIMI DUE EPISODI
Presentata in anteprima al festival di Cannes 2023, The Idol ha generato malumore fin dalla sua prima platea – sulla carta dal palato fino e difficilmente impressionabile. In effetti guardando i primi due episodi della serie targata HBO e creata dall’ideatore di Euphoria, le perplessità sono davvero molto. In breve: c’è una pop star (Lily Rose Depp, figlia di Johnny Depp e Vanessa Paradis) in stallo di carriera e umano – dopo aver perso prematuramente la madre – che, impegnata a riprendere le redini della sua carriera da starlette musicale, si fa coinvolgere (non si capisce bene perché) in una torbida relazione con derivazioni sadomaso insieme a Tedros (il cantante e produttore Abel Tesfaye, The Weeknd), proprietario di un night club, tossico di prim’ordine e fulcro di una sorta di “setta” i cui adepti sembrano a lui devoti in modo a dir poco sinistro. Jocelyn, questo il nome della ragazza, è poi attorniata da un gruppo di collaboratori abbastanza senza scrupoli che sfruttano la fragilità e la malattia della ragazza per fare soldi, spingendo Jocelyn allo stremo. Lei, comunque, ci mette del suo, cacciandosi in situazioni in cui la perversione sessuale la fa da padrone, in cui il confine tra sesso e violenza è sempre molto sottile e dove i giochi erotici sembrano spingersi sempre al limite. Di fatto non c’è molto altro nella trama (fino ad ora), se non un ripetersi di uno schema narrativo che alterna una prima parte dell’episodio che si concentra sulle incombenze musicali di Jocelyn e una seconda parte in cui la ragazza cade nelle peggiori spirali sessuali insieme a Tedros. Tutto erra senza una direzione precisa, proponendo situazioni narrative molto ripetitive e, cosa davvero rilevante, senza che si comprenda minimamente lo scopo narrativo che la serie vuole avere.
The Idol appare una serie priva di una propria direzionalità narrativa interna e di uno scopo tematico. Come spesso accade per le produzioni HBO, in cui vengono scelti contesti narrativi molto estremi che vengono esasperati a livello drammaturgico, anche in questo caso si esplora in modo estremo ma un personaggio (e non un mondo) assolutamente piccolo e involuto. Non appare insomma alcuno sforzo tematico, né la volontà di fare una riflessione che si discosti dall’essere ombelicale e, come tale, priva di interesse per la platea. Si aggiungono scelte di cast incomprensibili come quella del coprotagonista Tedros (un attore che dovrebbe incarnare l’apoteosi della sessualità e invece sembra un maniaco della peggior specie, privo di qualsiasi fascino – anche nelle sue declinazioni più deleterie).
Oltre al tedio perenne che questo tipo di situazioni narrative generano (non aiutato da un ritmo assolutamente dilatato – a volte caro alle produzioni HBO – in cui praticamente si assiste a episodi da cinquanta minuti fatti di letteralmente quattro scene), quello che lascia fortemente perplessi è che si tratta di una serie apparentemente priva di direzione e di sforzo narrativo. Va bene il racconto di una personalità disturbata, delle pressioni a cui le star dello spettacolo sono sottoposte, di un mondo malato e perverso ma sembra totalmente mancare un senso ultimo di questo racconto. È la fotografia del degrado fine a sé stesso, un mondo narrativo respingente, una discesa agli inferi costante e ineluttabile (in salsa soft porn). A chi questa serie vuole parlare? Cosa vuole rappresentare (che valga la pena)? Sembra esserci solo ostentazione e per altro nessuna grande inventiva o sofisticatezza nella messa in scena di questo infinito baratro. Anche in Euphoria – con cui The Idol condivide il creatore ovvero Sam Levinson – c’era un racconto duro, senza sconti e a tratti disturbante ma era chiaro – al di là dei singoli gusti – che era presente il tentativo di raccontare, magari anche in modo estremo e sbilanciato, uno spaccato di mondo nelle sue contraddizioni. Qui purtroppo neppure questo si intravvede. E su questa povertà narrativa e del prodotto finale concorda unanime la critica (caso raro) e anche il pubblico pare latitare, facendo correre il network americano ai ripari decidendo di non mandare in onda l’episodio finale. Una serie perdibilissima perché, al di là della presenza di una star e di un argomento scabroso, non sembra aver ragionato in modo serio e profondo su cosa si volesse andare a raccontare e quale potesse essere la modalità più adeguata per farlo. Pare si sia scelta la strada più semplice ma a volte la mancanza di sforzo porta solo alla banalità.
Gaia Montanaro
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