CONSIGLIATO DA ORIENTASERIE
Shaun Murphy, specializzando di chirurgia affetto da autismo e con la sindrome di Savant (caratterizzata da un ritardo cognitivo associato a una straordinaria abilità in un settore specifico), lascia un paesino della provincia americana per iniziare un tirocinio in un prestigioso ospedale della California del Nord. A sponsorizzare la sua candidatura davanti a un consiglio di amministrazione ostile, è il Dottor Aaron Glassman, neurologo e presidente dell’ospedale e mentore di Shaun fin dall’età di 14 anni, che mette a rischio la sua stessa carriera pur di farlo assumere. La motivazione di una tale pressione non è solo determinata dal profondo affetto che il neurochirurgo nutre nei confronti del ragazzo, ma dalla convinzione di trovarsi di fronte a un medico in grado di poter divenire un punto di forza per l’ospedale.
Shaun è dotato di un’intelligenza straordinaria, abilità fuori dal comune e una memoria medica enciclopedica che in più occasioni si riveleranno preziose per il buon esito delle operazioni chirurgiche cui saranno sottoposti i tanti pazienti del Saint Bonaventure, ma la sua complessa personalità, la mancanza di tatto e delicatezza, la difficoltà a relazionarsi e a interpretare il mondo intorno a lui attraverso lo stesso sguardo dei suoi pari renderanno ostico il suo percorso di crescita personale e professionale.
Durante le cinque stagioni, il medico affronta grandi sfide, va incontro a situazioni di forte stress emotivo, vive profondi turbamenti e cambiamenti, si muove all’interno della faticosa arena ospedaliera dove prendono vita drammi diversi e si impartiscono quotidiani insegnamenti, circondato da professionisti e giovani aspiranti medici che, sebbene inizialmente respingenti o sopraffatti dal suo modo di fare e agire, impareranno ad accettarlo e amarlo.
Ne viene fuori un racconto di formazione pregiato, con protagonisti un gruppo di giovani ambiziosi, appassionati e profondamente umani. Il percorso di crescita e cambiamento non si riduce all’arco narrativo costruito solo intorno al personaggio del “dottore buono”, ma si estende a tutti gli altri protagonisti, uomini e donne in grado di accogliere la diversità di Shaun e trasformarla in qualcosa di prezioso.
Ispirata a un prodotto coreano, The Good Doctor ha debuttato nel 2017 sulle reti televisive ABC, riscuotendo fin dall’episodio pilota un discreto successo. Pur presentando i tratti tipici del genere di riferimento – storie d’amore tra colleghi, complesse operazioni chirurgiche, accesi diverbi tra dottori esperti e giovani tirocinanti – The Good Doctor è un racconto ospedaliero coinvolgente ed efficace, dove si narra la crescita umana e professionale di un gruppo di giovani medici alle prese con una professione complessa e dove il racconto è reso più interessante dalla genuina presenza di Shaun.
Come molti medical drama, la serie narra le dinamiche relazionali e professionali di un ristretto gruppo di specializzandi: Shaun, Claire, Morgan, Parker e i chirurghi esperti Glassman, Melendez, Andrews e Lim agiscono in uno stesso spazio e trascorrono gran parte del loro tempo insieme, condividendo esperienze significative – come quella della pandemia COVID-19 nella quarta stagion e- o problemi più personali, ma con il comune obiettivo di salvare vite. Tutti vivono sulla propria pelle profondi conflitti interni e conflitti esterni. Da un lato ci sono le insicurezze personali, le tensioni emotive, le difficoltà a conciliare vita privata e professionale e le pressioni imposte da una professione dove non è semplice discernere tra ciò che è giusto e sbagliato e dove l’errore umano pesa più di un macigno; dall’altro ci sono i pazienti con le loro malattie e le loro storie personali dalle quali non è facile distaccarsi. Ogni puntata presenta due o più casi clinici, spesso costruiti intorno a tematiche specifiche, anche socio-culturali o politiche, utili a far emergere i differenti tratti psicologi dei personaggi e il loro approccio alla vita. I medici prendono a cuore la sorte dei loro pazienti e si lasciano coinvolgere emotivamente dalle loro storie personali, al punto da utilizzare i drammi di questi ultimi come metro di giudizio e riflessione delle proprie personali esistenze. Questo confronto rende più profonde le tensioni emotive tra gli specializzandi, delineando le diverse identità degli stessi, costruite così per analogia o contrasto.
In questo scenario si muove Shaun, un dottore buono ma freddo, alle prese con colleghi, superiori e pazienti in grado di metterlo in continuazione di fronte a dubbi e contraddizioni, il cui esito si trasforma poi in opportunità di crescita e cambiamento. Alla fine di ogni puntata, Shaun o i suoi colleghi ne vengono fuori migliorati o distrutti, ma ogni singola esperienza si rivela necessaria per la personale maturazione di ciascuno. In particolar modo, gli eventi che coinvolgono Shaun in prima persona – la relazione paterna con Glassman, l’amicizia con i colleghi, l’amore e la conseguente scoperta del sesso – contribuiscono al suo percorso di crescita come medico, ma anche e soprattutto come essere umano e adulto. Shaun, eroe imperfetto la cui identità è stata plasmata da un’infanzia violenta, dal dolore e dalla perdita, impara a relazionarsi e a lasciarsi andare, persino al contatto fisico. L’interpretazione di Freddie Highmore riesce, attraverso la fisicità e la gestualità, a far emergere tutta la complessità di questo personaggio, ma la vera forza della narrazione non risiede tanto nell’intenzione di sottolineare la straordinarietà di Shaun quanto nella potenza di una storia che si presenta come un modello educativo sull’accettazione e la comprensione di chi è diverso da noi.
Marianna Ninni
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