CONSIGLIATO DA ORIENTASERIE
Trovate la recensione della stagione precedente qui.
Si conferma essere davvero un capolavoro Pachinko, anche e forse di più nella sua seconda stagione. Lo è per tante ragioni. Per la sua capacità di raccontare in modo profondo, delicato e cangiante le donne – madri, mogli e figlie – che hanno compiuto inimmaginabili sacrifici per proteggere le proprie famiglie e garantire loro un futuro. Per l’abilità di tenere insieme in modo naturale le storie dei singoli alla grande Storia, raccontando del periodo bellico con una capacità introspettiva e realistica allo stesso tempo davvero rimarchevole.
Questo secondo capitolo della serie, infatti, prende le mosse nel 1945 a Osaka, quando gli americani stanno per invadere il Giappone. La protagonista – Sunja – con due bambini piccoli a carico e un marito portato via dai giapponesi, viene salvata e mandata nelle campagne da Koh Hansu, figura imperscrutabile e spietata, antagonista complesso e stratificato. Nelle campagne, dove diversi coreani e non si rifugiano per scampare all’atomica, Sunja (interpretata da una straordinaria Kim Min-ha) vive insieme alla cognata e a Chang–ho (tra i due c’è un’attrazione mai esplosa ma fortissima). La serie continua a esplorare su diversi piani paralleli le quattro generazioni di una stessa famiglia, le differenti vite e opportunità che queste hanno avuto, indagando i valori fondativi dell’essere umano, dalla capacità di sacrificio come suprema forma di amore, alla ricerca del bene per sé e per i propri cari.
C’è la cultura di tre popoli intrecciata al vissuto dei singoli, il racconto politico e sociale di differenti mondi, una straordinaria capacità di raccontare le emozioni e l’interiorità. Forse questo appare come il tratto più connotativo e strabiliante di questa seconda stagione di Pachinko: la resa sullo schermo della componente emozionale, la possibilità di vivere fino in fondo (in modo a tratti straziante per la sua intensità) i sentimenti dei protagonisti. In una parola: la loro umanità. Ferita, stanca, provata ma sempre viva. Colpisce che questo avvenga tramite il viatico della cultura orientale, così diversa dal punto di vista formale rispetto alla sensibilità di uno spettatore occidentale. Eppure, queste emozioni a volte trattenute, deflagrano con ancora maggiore potenza, commuovono e suscitano una profonda immedesimazione. L’estetica del racconto magnifica questi aspetti, curata nel minimo dettaglio e caratterizzata da un passo solenne e allo stesso tempo contemplativo.
Pachinko in fondo è una serie che restituisce l’umano, nel suo senso più alto e vero. Racconta il cuore dell’uomo, i suoi desideri ed afflati costitutivi che sono gli stessi ad ogni latitudine. E lo fa con la commovente precisione dei capolavori.
Gaia Montanaro
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