Trovate la recensione delle stagioni precedenti qui.
Alla sua quarta stagione, Mare Fuori aumenta esponenzialmente il successo di pubblico e si conferma come un fenomeno mediatico, non solo televisivo, che non ci pare abbia precedenti, almeno negli ultimi anni. Alla proposta, anticipata in streaming su RaiPlay, dei primi sei dei dodici episodi totali, si affianca uno spettacolo musical con gli stessi attori in tournée per l’Italia, un film cinema in gestazione e un indotto su tutti i social media più diffusi. Pochi dati evidenziano l’entità del gradimento che la fiction sta ottenendo: la sola terza stagione ha capitalizzato 135 milioni di visualizzazioni, mentre l’intera offerta delle prime tre stagioni ne conta 225 milioni. In sole due ore, da mezzanotte alle due del mattino, più di un milione di adolescenti sono rimasti in piedi per vedere i primi sei episodi in anteprima. Queste dimensioni rendono di per sé più che indispensabile vagliare i contenuti della serie e considerarne l’impatto su un target molto ampio e diversificato.
La narrazione di Mare Fuori conserva e anzi esplicita una forte tensione morale per cui tutti i personaggi – dagli adulti che gestiscono l’Istituto di Pena Minorile, a tutti i giovani detenuti, agli stessi appartenenti alle famiglie camorriste fuori dal carcere – riconoscono, con una drammaticità che amplifica l’empatia per i loro gesti, cosa sia bene e cosa sia male. E quando alcuni uccidono o compiono atti di violenza anche meno gravi, lo spettatore è puntualmente invitato a compatire il colpevole che per primo subisce il male agito, senza per altro mai giustificarlo.
I primi sei episodi della quarta stagione (che nel suo complesso è stata realizzata nel tempo record di un anno e precede le stagioni 5^ e 6^, già commissionate da RaiFiction) avvincono lo spettatore inducendolo a partecipare alla vita collettiva dell’IPM, che è nella sua coralità il primo e fondamentale protagonista della storia. Il fatto stesso che il carcere minorile sia vissuto come un luogo implicitamente di passaggio, nella speranza sempre reiterata di una redenzione di ogni detenuto, ha permesso e permetterà il futuro di far uscire di scena personaggi anche di primo piano e introdurne di nuovi, senza che gli spettatori si sentano ostacolati nel processo di fidelizzazione, fatto salvo per coloro che “non ce la fanno” e incontrano la morte. Ciò detto, l’intreccio degli archi di trasformazione dei singoli, permette al pubblico di memorizzare e partecipare alle vicende di tutti anche grazie a brevi ma efficacissimi flashback che, esponendo spaccati dei loro vissuti precedenti, focalizzano le cause scatenanti dei loro comportamenti delinquenziali.
La sapiente coppia di autori – Cristiana Farina e Maurizio Careddu – non si lascia tentare da una rappresentazione della realtà – in specie l’icastico microcosmo napoletano – in balia di un destino imponderabile, né in una banale giustificazione dei crimini commessi dai ragazzi come conseguenza meccanica ed ineluttabile di sofferenze vissute, violenze subite, disagi psichici, esempi deleteri, o dipendenze. Con insistenza, ma senza scadere mai in un didascalismo retorico, al centro di ogni evento narrato è posto il dramma della libertà della persona, il dilemma della sua coscienza. I nostri si confrontano spesso con situazioni di gravità estrema, ma anche quando la pressione avversa degli agenti esterni pare soverchiarli, le dinamiche relazionali messe in campo dagli educatori dell’istituto aprono spiragli di luce, di riscatto, di rinascita. Quanto detto esclude in maniera netta – a differenza di quanto espresso in alcuni commenti – che la serie stia virando verso una deriva soapish o vicina alla telenovela L’enucleazione, infatti, della rosa dei sentimenti primari (amore, odio, speranza, dolore, gioia, etc) – seppure, talvolta, con una punta di eccesso tipicamente partenopeo, in coerenza con l’ambientazione – non può definirsi un cambio di genere narrativo.
Gli adulti dell’IPM sono in maggioranza coesi nello spronare maieuticamente quelli che non di rado trattano come figli, affinché, pur partendo da condizioni assolutamente di svantaggio, possano maturare progressivamente una consapevolezza che li renda sempre più uomini e donne autenticamente responsabili.
Giovanni Capetta
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