I fratelli Ben e Michaela Stone, insieme al figlio di lui Cal e ad altri 188 passeggeri di ritorno dalla Giamaica, accettano di prendere un volo successivo a quello previsto in cambio di un indennizzo economico. Dopo un viaggio turbolento, l’aereo atterra sano e salvo a New York, dove però una terribile sorpresa attende i passeggeri: mentre per loro sono trascorse solo poche ore (quelle effettive del volo), il resto del mondo (e quindi le loro famiglie, i loro compagni, i loro amici) li ha considerati dispersi – e quindi morti – per oltre cinque anni. Oltre alle difficoltà di provare a reinserirsi nelle loro vite precedenti, i passeggeri devono affrontare anche delle misteriose “chiamate”, che inizialmente sembrano operare per il bene attraverso di loro – permettendo di salvare vite umane e di evitare tragedie – ma che, col passare del tempo, diventano sempre più imperative e minacciose.
La serie, che doveva in teoria concludersi con la terza stagione a causa di un consistente calo di ascolti, ha trovato nuova linfa vitale approdando su Netflix (pare anche grazie alla spinta di alcuni fan del calibro di Stephen King), dov’è stata per diverse settimane tra i titoli più alti in classifica, convincendo la piattaforma a rinnovarla per una quarta stagione.
In Manifest è evidente l’impronta di Lost: sono stati in molti, infatti, a definirla come “l’erede morale” della serie creata da J. J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber. Nonostante Manifest non raggiunga nemmeno lontanamente la qualità interpretativa e produttiva del suo illustre antecedente, nonché la sua profondità narrativa, i rimandi a Lost sono numerosi e vanno dall’elemento “aereo” (in questo caso, non un vero e proprio disastro, ma una semplice turbolenza dalle conseguenze, però, altrettanto importanti) all’utilizzo di un cast corale, dall’inserimento del paradosso temporale alla dialettica tra scienza e fede.
La formula è sicuramente interessante per il grande pubblico, anche se è stata modificata nel corso delle tre stagioni per rilanciare la trama e cercare di scongiurare una perdita di audience sempre più evidente. Inizialmente, infatti, la serie si concentra sulle difficoltà dei protagonisti di rientrare nelle loro vite precedenti. Nonostante siano passati “solo” cinque anni, l’impatto con la nuova realtà è scioccante: Ben trova la moglie impegnata con un altro uomo e la figlia Olive, sorella gemella di Cal, ormai adolescente, mentre Michaela, oltre a dover affrontare il dramma per la morte della madre, scopre che il suo fidanzato storico, nonché promesso sposo, Jared ha nel frattempo sposato la sua migliore amica. Non tutti i cambiamenti, però, sembrano nuocere ai protagonisti: ad esempio, la ricercatrice Saanvi scopre che la ricerca sul cancro a cui stava lavorando prima del viaggio in Giamaica ha aiutato a salvare centinaia di pazienti e Cal, malato di leucemia terminale e dato senza speranze cinque anni prima, risulta il candidato ideale per sottoporsi alla cura. Tutti i personaggi, comunque, devono affrontare il trauma di un tempo che è trascorso per gli altri e non per loro.
Nella prima stagione, le “chiamate” sono presenti, ma servono quasi più a inserire un caso di puntata, che si risolve quindi nell’arco del singolo episodio, che a portare avanti la continuità della narrazione. Progressivamente, invece, a mano a mano che i protagonisti riescono finalmente a ritrovare un loro equilibrio e a rifarsi – chi più, chi meno – una vita, la dimensione paranormale e pseudo-religiosa (numerose sono le citazioni a versetti biblici, passi del Vangelo e persino, nell’ultima stagione, all’Arca di Noè) prende sempre più spazio. Le “chiamate” si fanno sempre più impellenti e prendono spesso la forma di ordini, a cui i nostri sono obbligati a ubbidire pena conseguenze devastanti e mortali. Ed è proprio il modo in cui viene trattato il tema della fede a rappresentare uno degli aspetti più problematici della serie, che – pur non presentando elementi particolarmente diseducativi – richiede tuttavia che gli spettatori più giovani siano accompagnati nella visione, in modo che questa non sia acritica e passiva, ma costituisca un buon punto di partenza per un dialogo in famiglia, anche su argomenti complessi.
Con il passare delle stagioni, assume sempre più rilevanza anche la presenza di un nemico, che nel corso delle puntate assume diverse facce: dapprima una figura misteriosa, il Maggiore, che opera ai margini del Governo per fare esperimenti sui passeggeri e carpirne i segreti; poi il Governo stesso, che conduce indagini su quello che rimane dell’aereo allo scopo di svelarne il mistero; e infine il resto del mondo che, dopo aver accolto i passeggeri del volo 828 della Montego Air come dei miracolati e degli emissari divini, ora li guarda con sospetto, arrivando a considerarli – alternativamente – come fenomeni da baraccone o creature mostruose. Manifest mescola quindi, non sempre con successo e trovando un equilibrio davvero funzionale alla narrazione, elementi tipici da melodramma e misteri sovrannaturali. Dopo una seconda stagione un po’ deludente, va però riconosciuto alla serie il merito di sapersi rinnovare e di puntare su quelli che sono i suoi veri punti di forza, che le hanno garantito un rilancio di pubblico e nuova linfa vitale.
Cassandra Albani
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