Dopo oltre 60 anni dalla pubblicazione del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1958), dalla sua consacrazione allo Strega (1959) e dal sontuoso adattamento di Luchino Visconti (1963), Il Gattopardo, da vero classico della letteratura italiana novecentesca, non è ancora tramontato e torna sugli schermi, questa volta a puntate, per la regia di Tom Shankland.
La serie trasforma il dramma storico in un dramma famigliare – arricchendo la trama con un intreccio più articolato e un punto di vista maggiormente corale e legato più ai rapporti tra i personaggi che non a quelli tra il protagonista e un mondo che cambia – e mira a intercettare i gusti di un pubblico più moderno e più giovane.
1860, Sicilia. Il principe di Salina, esponente dell’antica nobiltà isolana, traghetta la famiglia attraverso i moti risorgimentali, nel tentativo di strappare alla Storia uno scampolo di prestigio. Per farlo, dovrà scendere a compromessi con i nuovi ceti, gli sciacalli che minacciano i gattopardi, ormai ingabbiati nei loro palazzi in declino.
Approfondimento
Dal romanzo alla serie
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”: queste parole, pronunciate da Tancredi, il giovane nipote del Principe, sono forse le più conosciute del romanzo, e riflettono alla perfezione non solo il tema del fragile equilibrio tra passato e presente, tradizione e cambiamento, che pervade l’opera, ma anche il processo di adattamento da romanzo a serie. Un adattamento che, per parlare a una nuova epoca, a nuove generazioni e a un nuovo medium – un medium che utilizza un linguaggio diverso, quello visivo e in questo caso seriale –, non esita a introdurre dei cambiamenti e a riempire i vuoti di un romanzo statuario e a tratti insondabile come il suo protagonista: un romanzo breve, con ampi salti temporali tra una sezione e l’altra dell’opera e un unico sguardo sulla realtà, quello del Principe.
E così il romanzo sembra assumere una tridimensionalità che può essere abitata da tutta la famiglia dei personaggi – e non più solo dal protagonista –, e insieme a questa da tutta la famiglia degli spettatori, che possono rispecchiarsi in un dramma famigliare ancor prima che storico. Sono molte le apparenti differenze rispetto alla storia originale e a tratti si ha l’impressione di vedere uno spin-off del romanzo. Eppure, nella serie non c’è nulla di completamente inventato: l’interessantissima operazione che si è fatta è stata quella di cercare tra le pieghe del testo un velato accenno o un silenzio da cui partire per introdurre un maggiore scavo psicologico nella caratterizzazione dei personaggi e delle relazioni tra di essi, e di costruirvi una vera e propria espansione dell’universo narrativo del romanzo, inserendo interi episodi non presenti nell’originale ma del tutto in linea con situazioni a cui il romanzo talvolta allude senza rivelarle interamente. Quasi come se la serie spalancasse le finestre della villa Salina di Donnafugata, che ci erano sempre apparse come appena socchiuse, per permetterci di scoprire i suoi segreti e i suoi non detti.
Dal period drama al family drama
Si passa quindi dalla Storia alla storia, dai grandi eventi esterni che intaccano essenzialmente l’interiorità del protagonista, ai conflitti interiori dei e tra i personaggi, che semmai si rispecchiano in quelli esteriori, e non viceversa: vengono così approfonditi i rapporti e i contrasti tra il Principe e la figlia Concetta, tra quest’ultima e Tancredi, e tra Tancredi e l’ambiziosa Angelica.
Le figure femminili assumono uno spessore nuovo, e sono animate dalle stesse passioni, paure e ambizioni dei personaggi maschili, pur essendo costrette entro i confini del loro genere. In particolare, vediamo la storia anche e soprattutto attraverso la lente del personaggio di Concetta, unica e vera erede dell’impero dei Salina e di tutto ciò che questo rappresenta: l’amore perduto per Tancredi, il cortocircuito tra l’affetto e l’odio per un padre che non esita a sacrificare i sentimenti della figlia per gli interessi della casata, l’angoscia per lo sgretolamento dei rapporti famigliari e del mondo di cui i Gattopardi si sentivano padroni, sono tutti temi che è stato possibile scandagliare proprio per la presenza di un punto di vista corale.
Il passato come finestra sul presente
Ecco quindi che, nel pur rispetto dell’ambientazione storica, emergono temi universali che interpellano non solo i personaggi di un Ottocento ormai lontano e i lettori del dopoguerra, ma anche ognuno di noi, in questo presente dove tutto è cambiato e, forse proprio per questo, tutto è rimasto com’era: desiderio d’indipendenza, bisogno di cambiamento, paura di un ignoto che rischia di divorare ciò che di buono proteggono le nostre radici, il labile confine tra il sogno e l’ambizione, la dicotomia tra amore e passione,. Tutto ciò tende un filo tra il passato e il presente e coinvolge tutte le generazioni, con tematiche e con un cast che parlano ai giovani, e un’estetica visiva e sonora nostrana che risveglia l’affetto del pubblico internazionale, disegnando panorami da western e colorandoli di una colonna sonora, firmata dal siciliano Paolo Buonvino – già compositore della serie-evento anglo-italiana I Medici – dalle tonalità che sembrano trarre ispirazione dalle pellicole di Sergio Leone.
Temi di discussione
- Il cambiamento: libertà o paura?
- L’ambizione: fin dove è lecito spingersi per inseguire i propri sogni?
- L’amore tra responsabilità e libertà: come trovare un equilibrio tra il desiderio di proteggere chi ami e la necessità di lasciarlo libero di costruirsi un proprio mondo e un proprio futuro?