Duecento anni prima delle vicende di Game of Thrones, e più precisamente a centosettantadue anni dalla nascita di Daenerys Targaryen, inizia la storia di House of the Dragon. Siamo sotto il regno di Viserys I, che siede sul Trono di Spade dopo suo nonno Jaeharys, morto senza eredi maschi. Il Consiglio Ristretto ha preferito Viserys alla cugina Rhaenys, nonostante la sua anzianità, poiché nessuna donna si è mai seduta sul Trono di Spade.
“Le colpe dei padri ricadono sui figli” potrebbe essere il motto di questa serie, che non a caso inizia e termina con un parto non riuscito. Una metafora forte – anche visivamente – che sembra ricordare come i progetti degli uomini, anche se potenti come i re, devono sempre fare i conti con la dura realtà di una natura imprevedibile.
Atmosfera coinvolgente e ottima sceneggiatura sono le prerogative della prima stagione di House of the Dragon, che termina con una tensione irrisolta e dunque irresistibile, e fa ben sperare per il prosieguo della serie. Il finale compensa così un inizio lento, che ha pagato lo scotto del confronto con l’impareggiabile Game of Thrones, a cui House of the Dragon fa da prequel e con la quale condivide lo stile cupo: sicuramente immersivo, ma decisamente non adatto ai minori. Sangue, sesso e violenza spesso gratuiti appaiono in ogni puntata, a ricordare come l’umanità rappresentata, nobile o povera che sia, è sempre dominata dalle passioni.
House of the Dragon ha come tema principale l’eredità: è la causa scatenante dell’intreccio narrativo, ne è il fulcro dei conflitti tra i suoi personaggi e ne è anche il fine ultimo. Ancora una volta, il pubblico si chiede: chi siederà sul Trono di Spade?
Eredità e famiglia sono due concetti molto simili tra loro, a volte addirittura sinonimi. House of the Dragon invece li contrappone, indagando ogni sentimento che mina l’armonia famigliare. Invidia, gelosia, astio e competizione accendono i dissidi tra genitori, figli, zii e nipoti. L’odio di una madre si tramanda ai figli senza volerlo, come un veleno inesorabile. È proprio l’ineluttabilità di questo odio, che passa di generazione in generazione, che porta le vicende di House of the Dragon a somigliare sempre più agli scontri dinastici delle grandi tragedie shakespeariane. Re Viserys come Re Lear non si dà pace per l’inimicizia tra i suoi stessi figli e nipoti, dilaniati dalla corsa alla corona che porta in testa.
La serie stessa soffre di un’eredità pesante, quella dell’epopea a cui fa da prequel. Game of Thrones è stata LA serie, otto stagioni che per dieci anni hanno conquistato i cuori e le menti del pubblico mondiale, con apprezzamenti crescenti da parte della critica. La Battaglia dei Bastardi, che chiude la sesta stagione, ha vinto numerosi premi ed è considerato tra i migliori episodi televisivi della storia della serialità. Il regista di quell’episodio, Miguel Sapochnik, ha raggiunto la fama internazionale ed è diventato uno dei due showrunner di House of the Dragon.
È dunque interessante notare come l’eredità non sia solo il tema di questa serie, ma anche la sua spada di Damocle. Game of Thrones ha avuto inoltre un finale molto discusso, che ha in gran parte deluso le aspettative dei fan. Attese ora riversate in questa nuova serie, che come tutti i prequel ha un altro ostacolo per gli autori: si sa come va a finire. L’elemento sorpresa, che ha fatto le fortune di Game of Thrones, paga inevitabilmente la consapevolezza di sapere quale sia il destino finale di casa Targaryen. La sorte della Casa del Drago è il fuoco principale della serie, a differenza di Game of Thrones, dove ogni dinastia di ciascuna delle sette famiglie di Westeros aveva i propri personaggi chiave, con loro destini e punti di vista.
In attesa che George R.R. Martin porti a conclusione la saga editoriale, l’eredità seriale del Trono di Spade sarà nelle mani degli autori e nelle interpretazioni degli attori di House of the Dragon. A loro il compito di prolungarne la dinastia.
Claudio F. Benedetti
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