Le vicende di un gruppo di amici – Daniel, Luca, Sandro, Matilda e Inés – dall’infanzia all’età adulta sono il centro di Generazione 56K, serie Netflix in 8 episodi della durata di circa mezz’ora, prodotta da Cattleya in collaborazione con i The Jackal. Nata da un’idea di Francesco Ebbasta, inizialmente destinata alla realizzazione di un romanzo, lo spunto ha trovato voce in un prodotto televisivo dove si alternano due diversi binari narrativi: il primo con il gruppo di ragazzini alle prese con le gioie e le delusioni dell’età pre-adolescenziale e con la curiosità suscitata dall’inatteso arrivo di Internet, nella colorata Procida degli anni ’90; il secondo con lo stesso gruppo, ritrovato in età adulta in una Napoli moderna e goliardica, ma messo alla prova da ben altri dilemmi o tormenti. La serie vuole raccontare le relazioni prima e dopo Internet, sottolineando ironicamente il contrasto tra due epoche molto diverse. I millenials protagonisti sono cresciuti durante quella rivoluzione tecnologica che ha inevitabilmente mutato le abitudini e i comportamenti quotidiani di tutti, incidendo in maniera determinante nel nostro modo di approcciarci alla realtà, alle informazioni e alla comunicazione. L’impianto da commedia romantica, la leggerezza e la spensieratezza con cui i vari personaggi affrontano gli alti e bassi di ogni giorno, rendono Generazioni 56K un prodotto godibile, in grado di far leva su chi quel cambiamento lo ha vissuto in prima persona e si riconosce tanto nei comportamenti adolescenziali di quei ragazzini fragili quanto in quelli più tolleranti e moderni di una generazione che, tuttavia, non è riuscita a superare completamene alcuni timori e ha preferito trovare un facile rifugio nella tecnologia.
La generazione di cui si parla nella serie Netflix è quella del modem 56K, storica e rumorosa scatoletta magica che negli anni ’90 ha fatto il suo ingresso in molti appartamenti, garantendo ai ragazzini un più facile accesso a qualsiasi genere di informazione.
Intrecciando due linee temporali e ricorrendo a un montaggio che rende fluidi i passaggi tra passato e presente, la serie crea un persistente collegamento tra l’infanzia e l’età adulta, presenta i due gruppi di amici fin dalla tenera età e analizza, seppur in chiave volutamente comica, la loro difficoltà ad approcciarsi con l’altro sesso e la loro capacità a prendere o meno decisioni responsabili. I ragazzini di Generazione 56K sono timidi e impacciati, cercano risposte sul primo bacio, placano la sete di curiosità sulle tematiche sessuali attraverso videocassette porno, racimolano soldi per la play con la vendita di floppy disk con immagini pornografiche, che rivendono persino in chiesa, ascoltano le canzoni degli 883 e affrontano le prime delusioni amorose. Alcune di quelle insicurezze, emerse in fase adolescenziale, in un momento in cui le famiglie sono in crisi, i padri sono assenti o inadatti a fornire il giusto supporto e la rivoluzione mediatica risponde più velocemente (sebbene superficialmente) ai timori esistenziali, riaffiorano in parte in età adulta. Daniel ha trasformato la sua curiosità per la tecnologia in un lavoro, inventa App rivoluzionarie che mirano a conquistare la Silicon Valley, insieme agli amici di infanzia Luca e Sandro, ed è proprio su un’app che ricerca il vero amore, salvo poi innamorarsi dell’unica persona che non ha conosciuto in rete; Matilda, ex compagna delle medie, definita “Satana” per i suoi modi bruschi, ha una relazione di lunga durata e sta per sposare il perfetto quanto stucchevole Enea, ma l’incontro con il primo grande amore d’infanzia lascia riaffiorare sentimenti sepolti e suscita facili timori; Inès, sposata e con un figlio, non si sognerebbe mai di divorziare per non dover crescere i bambini da sola; Luca, nerd iperprotettivo, preferisce tenere le relazioni un livello platonico ed evitare incontri diretti; Sandro, felicemente sposato, vorrebbe un figlio, ma, come spiega sua moglie, non è il momento giusto e sarebbe meglio iniziare con un cane; le neo-divorziate, in preda a crisi isteriche e tormenti sentimentali, si consolano organizzando feste di divorzio, con tanto di spogliarellisti e vibratori in regalo, per celebrare la libertà riconquistata.
Generazione 56K ricorre ai cliché delle classiche romcom (le commedie romantiche) per raccontare il sentimento tra due personaggi destinati al vero amore, ma alle prese con tempi sempre sbagliati, ostacoli, incomprensioni e un destino beffardo, pronto a metterci del suo. Attraverso l’ironia e la comicità partenopea, si descrive una generazione sognatrice e romantica ma al tempo stesso disillusa o peggio ancora delusa dalle aspettative e che ha smesso di prendersi sul serio. I Millennials rivivono il ricordo di un’epoca che non esiste più, popolata da oggetti (videocassette, musicassette e floppy) che oggi definiremmo vintage e gesti desueti, come quelli di affidare alle pagine di un diario i pensieri e i sentimenti più profondi. La serie intrattiene e diverte con la presenza scenica e la verve comica di Fru e Fabio, sdrammatizza facilmente le problematiche di ogni relazione e dinamica, ride di ciò che siamo diventati e intenerisce con la storia d’amore tra Daniel e Matilde, due esseri complessi e imperfetti, ma i soli ad auspicare un ritorno a una realtà dove ogni scelta esige il tempo necessario e dove amare equivale a “voler il bene dell’altro” anche quando lo allontanerà da noi.
La narrazione, sebbene risenta di una certa ripetitività nelle parti centrali, è disimpegnata e leggera, l’effetto nostalgia agevola il facile coinvolgimento di chi guarda, ma a conti fatti molti di quegli adulti di fronte a noi, come sottolinea lo stesso ideatore, “sono bravi a non finire quello che hanno iniziato”, esseri complessi e irrisolti, segnati dalla paura di sbagliare al punto da preferire non scegliere. Insomma, quelli di fronte a noi sono adulti troppo sconnessi dalla realtà e sempre più connessi a una Rete alla quale affidano qualsiasi risposta a una illusoria ricerca della felicità.
Marianna Ninni
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