Christian (Edoardo Pesce) è cresciuto nell’immensa Città Palazzo, un casermone di cemento occupato alla periferia di Roma. A controllare tutto quello che avviene al suo interno, dalla ripartizione degli appartamenti alla gestione dei numerosi traffici illegali, è il boss Lino, che per Christian è un po’ un padre putativo, un po’ un datore di lavoro, se si può considerare un lavoro il malmenare chi non obbedisce alle regole imposte. Fatto sta che Christian lo svolge con zelo e senza porsi troppe domande, almeno fino al giorno in cui non gli compaiono le stigmate sulle mani: tirare pugni diventa decisamente più difficile, ma in compenso, quando resuscita una prostituta morta per overdose, scopre di essere in grado di fare miracoli.
“Sono sempre stato quello brutto, quello che mena. Non ci ho mai pensato che posso da’ alla gente un po’ de speranza” dice Christian che, per la prima volta, si trova a pensare a sé stesso e al suo posto nel mondo, fino a quel momento accettato passivamente. Capire cosa deve fare con il suo dono sarà la domanda trainante delle sei puntate che compongono la prima stagione, per poi approdare all’inevitabile questione sulla sua origine.
Christian è senza dubbio una serie rivolta ad un pubblico adulto per i temi che tratta e per i suoi presupposti violenti, ma rappresenta un prodotto ben riuscito all’interno del panorama seriale italiano, capace di giocare con i generi (dal gangster movie all’origin story di taglio supereroistico) per trovare una propria dimensione originale con cui guardare al ruolo del sacro nella società contemporanea.
Liberamente ispirata dalla graphic novel Stigmate, scritta da Claudio Piersanti e illustrata da Lorenzo Mattotti, Christian porta con sé le tracce della sua origine fumettistica e allo stesso tempo è capace di declinarla nello squallido realismo della periferia romana di Dogman e Lo chiamavano Jeeg Robot.
In questo caso l’imprevisto che irrompe nella storia è un sovrannaturale di stampo cristiano, che attinge a una memoria collettiva: le stigmate, le guarigioni, la resurrezione dei morti, il dono di parlare lingue straniere… Ma, esattamente come per la nostra società secolarizzata, a Christian tutti questi eventi appaiono completamente decontestualizzati e tutta la stagione si costruisce intorno al suo tentativo di dare un senso al dono che ha ricevuto. Appare abbastanza naturale, all’interno del mondo chiuso rappresentato da Città Palazzo, che il primo pensiero di Christian e dell’amica Rachele (la prostituta resuscitata), sia quello di trasformarlo in un business. Ma il miracolo non si piega ad essere usato per profitto e contiene in sé una forza sovversiva che presto diventa impossibile da ignorare.
A fare da contraltare al punto di vista di Christian c’è Matteo (Claudio Santamaria), che da bambino ha ricevuto la grazia di sopravvivere a un incidente stradale e adesso lavora per il Vaticano, cercando di appurare la veridicità di molti presunti eventi miracolosi. Claudio porta in scena il volto di una Chiesa oscura e poco rassicurante, forse una delle storyline meno riuscite all’interno della serie, ma è un personaggio non privo di complessità. E soprattutto è l’unico in grado di porre le domande giuste, senza fermarsi alla dimensione più ammaliante del miracolo, ma desideroso di andare oltre la superficie per scoprirne la vera origine.
Perché il miracolo, in sé, è poco cosa, se considerato a prescindere dal cuore dell’uomo che lo opera o che lo riceve. E questo la serie riesce a raccontarlo bene, anche se rimanda il più possibile la questione per affrontarla solo nel finale di stagione, creando un efficace rilancio per una seconda parte in cui, necessariamente, si dovrà andare più in profondità sulla natura del “dono” di Christian.
Per ora, quello che la serie è in grado di offrire è un intrattenimento piacevole e non banale, grazie alla bravura attoriale dei protagonisti e ad una scrittura capace di sfruttare i risvolti comici presenti nel concept, anche se in un mondo in cui la violenza è data come presupposto.
Inoltre, pur guardando al sacro da un’ottica secolarizzata, l’idea che sta alla base è più cristiana di quanto non potrebbe sembrare a prima vista: il fatto che il divino irrompe nella vita, senza chiedere il permesso, preferendo gli umili ai buoni, ma obbligando ciascuno a prendere una posizione.
Giulia Cavazza
Temi di discussione