Lo spunto da cui parte C’era una volta (Once upon a time) è geniale: i personaggi delle fiabe più famose conducono vite anonime in un’oscura cittadina del Maine (l’immaginaria Storybrooke, da “Storybook”, ovvero “libro di storie” in inglese). Nessuno ricorda la propria identità, a causa di un incantesimo della perfida Regina (la matrigna di Biancaneve), sindaco della città, interessata a mantenere tutti i cittadini nella più totale inconsapevolezza riguardo alla loro vera natura. Il lieto fine delle fiabe è stato cancellato e sostituito con un’esistenza piuttosto scialba, dove però a tratti si affaccia la nostalgia di qualcosa di grande e straordinario che si è perduto. Su questo punterà il piccolo Henry, figlio adottivo di Regina, che grazie a un libro conosce la verità e vuole aiutare tutti a scoprirla. La serie di Abc (di cui è proprietaria Disney) si snoda attorno a questa intuizione per ben sette stagioni, attingendo a piene mani dal mondo delle fiabe, delle narrazioni tradizionali, dei film, tutti rivisitati e adattati alla storia. Si va da Peter Pan alla Regina dei Ghiacci, da Cenerentola alla Sirenetta, passando per la saga di Re Artù, i miti greci, la Carica dei 101, per citarne solo una minima parte.
Col procedere delle stagioni l’effetto inevitabile è una certa confusione: la trama si fa via via più complicata e a tratti ardua da seguire. Nonostante queste difficoltà nella narrazione, nel complesso C’era una volta resta una buona occasione per condividere una serie in famiglia. Le tematiche trattate la rendono adatta a un pubblico di varie età e i personaggi principali sono ben costruiti. Spicca fra tutti il cattivo Tremotino (nell’originale “Rumplestitskin”, il folletto malvagio della fiaba dei fratelli Grimm) interpretato da Robert Carlyle.
Da evitare, invece, la deludente e caotica stagione 7, dove si cerca a fatica di proseguire la storia con due terzi del cast in meno. Fermatevi alla sesta e conserverete un buon ricordo di questa serie.
“La magia ha sempre un prezzo”: è questa la morale della serie di Abc, premiata dalla critica e dagli ascolti alla sua prima messa in onda tra il 2011 e il 2018. Straordinariamente longeva, Once upon a time ha avuto un buon riscontro tra gli adolescenti, anche in tempi recenti. I motivi di questo successo sono da ricercarsi nell’attrattiva esercitata dalle narrazioni tradizionali, che ci trasportano in un mondo fantastico dove c’è un lieto fine per tutti e ogni problema trova magicamente una soluzione. Sappiamo bene che questo non ha nulla a che vedere con la nostra realtà, ma la possibilità di lasciarci portare – sia pure per poco – in una dimensione irreale ci attrae e ci coinvolge.
E C’era una volta non lesina certo sugli universi fiabeschi che ci consente di esplorare, al seguito di personaggi che hanno un loro sviluppo in buona parte credibile. Emma Swan, la “salvatrice” prescelta per smascherare l’incantesimo, madre biologica di Henry, è una ragazza dal passato travagliato, che si scopre dotata di poteri magici; il perfido Tremotino, alias Signor Gold come si chiama nel mondo di Storybrooke, è un uomo che manca di coraggio e oscilla di continuo fra bene e male; la coppia Biancaneve-Principe Azzurro ci restituisce la profondità di un affetto che non s’incrina nemmeno nelle circostanze più difficili, e Regina, la strega cattiva, riserva innumerevoli sorprese.
Tutto sommato anche i continui passaggi dal reale all’irreale attraverso “portali” che i protagonisti valicano di frequente, funzionano perché in molti casi c’illuminano sul carattere e le motivazioni profonde dei personaggi. Scoprendone il passato “fantastico” capiamo meglio il loro comportamento nel mondo reale.
Gli ideatori della serie, Edward Kitsis e Adam Horowitz (già autori di Lost) ce la mettono tutta per mantenere le redini della storia, purtroppo però il numero forse eccessivo di episodi (ben 155 in tutto) li costringe talvolta ad aggrovigliare molto le vicende, inserendo personaggi e narrazioni sempre nuove che finiscono per rendere davvero difficile seguire il filo del racconto. Il frequente ricorso alla magia risulta spesso solo un espediente per risolvere situazioni ormai troppo compromesse dal punto di vista narrativo, e la serie in questo modo perde un po’ di credibilità. Fino ad approdare all’inutile stagione 7, in cui i pochi superstiti del cast originario si ritrovano a Seattle coinvolti in vicende pretestuose e ormai totalmente slegate dall’idea originaria, che sfociano in un improbabile thriller e sono in gran parte imperniate sul legame sentimentale tra le figlie di due dei protagonisti.
Chi avrà la pazienza di arrivare fino alla fine della sesta stagione – magari vista insieme in famiglia – non avrà sprecato il suo tempo. E avrà imparato che il prezzo da pagare alla magia è spesso troppo alto: significa non affrontare le situazioni e le difficoltà della vita, e quindi alla fine rinunciare a crescere.
Stefania Garassini
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