Ambiziosa serie originale Sky, creata con l’intento di ritrarre senza filtri il mondo della criminalità milanese, tra spaccio di droga e lotte spietate che coinvolgono mala locale e bande sudamericane, Blocco 181 riesce soltanto in parte nel suo intento. Se la storia è nel complesso ben congegnata e buona parte dei personaggi risultano credibili, l’impressione resta però quella di un’occasione mancata.
Il racconto, alquanto superficiale, non sfiora le ragioni del disagio da cui nasce la marginalità che porta a delinquere e finisce per offrire un’immagine stereotipata e a senso unico delle comunità di latinos presenti in città (ritratte come ambiti dove si vive di malaffare) e della stessa Milano, da bere, patinata, dove la principale occupazione sembra quella di fare uso delle droghe più varie, con una netta prevalenza della cocaina. La serie si avvale del contributo del rapper Salmo, produttore e autore delle musiche, oltre che attore, nei panni dell’efferato boss Snake, in un’interpretazione che tuttavia lascia molto a desiderare. Non così i giovani protagonisti (Laura Osma, Alessandro Piavani e Andrea Dodero) che offrono una prova all’altezza. Peccato che anche qui non ci sia un vero scavo psicologico nelle fragilità e nelle motivazioni dei personaggi, consegnati dalla sceneggiatura a una grossolana relazione a tre, spacciata in modo troppo semplicistico come una possibile via di fuga, una liberazione dall’oppressione degli ambienti da cui provengono.
La storia di Blocco 181 è ambientata nelle periferie di Milano, tra case popolari e insediamenti abbandonati, dove le gang dei sudamericani si scontrano con gli italiani attivi nello smercio di cocaina, affare sul quale prospera una criminalità pronta a tutto. Dopo le prime schermaglie lo scontro s’inasprisce con l’uscita dal carcere del boss Ricardo (il “palabrero”, il capo, nel gergo della mala sudamericana), leader indiscusso della Misa, sorta di famiglia mafiosa, dove vigono regole ferree e gerarchie immutabili. Accanto a lui la sorella Bea, irrequieta, poco incline ad accettare un ruolo di secondo piano nella comunità e a caccia di alternative a una vita fatta di piccoli furti e di sudditanza assoluta al potere maschile. La sua ricerca la porterà a imbattersi in Ludovico, ricco, con casa in un palazzo d’epoca nel centro e sorella paziente psichiatrica, impegnato come “cavallino” per la consegna della coca a domicilio, e in Mahdi, che invece nel Blocco c’è nato e da sempre aiuta lo zio nel gestire il racket delle case popolari e lo spaccio. Tre storie diverse di disagio che potrebbero evolversi in una direzione di riscatto morale, in scelte esistenziali radicalmente opposte rispetto a quelle di un mondo adulto corrotto e violento. Purtroppo però non è quel che accade negli otto episodi della serie (con una seconda stagione già confermata). Piuttosto, i tre si ritroveranno invischiati in dinamiche criminali più grandi di loro, senza riuscire davvero a trovare un’alternativa. E lasceranno che la loro amicizia si trasformi in un pretestuoso e poco credibile ménage a trois.
La serie è nel complesso ben costruita, con qualche colpo di scena che tiene la tensione tra un episodio e l’altro e figure scolpite, come quella del boss Ricardo (Juan Cely Delgado), che mescola un’apparente flemma e bonarietà con una crudeltà e spietatezza di fondo. Ma ricorre anche ad alcuni personaggi stereotipati, tra gli altri lo spacciatore dei vip, Lorenzo (Alessandro Tedeschi), a sua volta dipendente dalle sostanze, che conduce una vita sempre sopra le righe.
Blocco 181 in generale offre una visione delle comunità straniere decisamente negativa, con effetti prevedibili sulla percezione comune della presenza di sudamericani nelle nostre città. Altrettanto desolante è il quadro di Milano e delle possibilità di vita che può offrire. Soprattutto ai più giovani.
Stefania Garassini
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