CONSIGLIATA DA ORIENTASERIE
Adolescence è una miniserie britannica in quattro puntate che, appena uscita, ha già fatto molto parlare di sé. La storia ruota attorno a un omicidio — ispirato a fatti reali —, ma lo fa in modo inusuale: la violenza è quasi sempre fuori campo, filtrata da filmati di videosorveglianza o raccontata attraverso le reazioni e le conversazioni dei personaggi. La vittima è Katie, e del suo assassinio è accusato il tredicenne Jamie Miller (Owen Cooper). Tuttavia, la serie non si concentra tanto sull’atto in sé, quanto sulle sue conseguenze: il trauma dell’arresto del ragazzo, le indagini della polizia, la reazione della famiglia di Jamie (in particolare quella del padre, interpretato dal co-creatore e co-sceneggiatore della serie Stephen Graham), l’impatto sui coetanei e gli studenti della scuola frequentata da Katie e Jamie, l’incontro tra il ragazzo e una psicologa (Erin Doherty). Ognuno dei quattro episodi ha quindi un focus diverso e anche una specifica ambientazione, componendo un mosaico complesso sulla vita adolescenziale contemporanea.
Il vero punto di forza della serie è il modo in cui la storia viene raccontata: ogni episodio è girato in presa diretta, con un unico piano sequenza, una cifra stilistica che non è un mero esercizio virtuosistico, ma una scelta narrativa specifica che amplifica il coinvolgimento dello spettatore. Senza tagli, senza montaggio, si ha la sensazione di essere intrappolati dentro la narrazione, costretti a seguire gli eventi in tempo reale, senza pause per respirare. La macchina da presa insegue i personaggi, anche di spalle, spostandosi attraverso spazi labirintici come la scuola, il commissariato, la stanza dei colloqui, la casa e il furgone della famiglia di Jamie. Ne emerge un’esperienza immersiva e inquietante, che genera volutamente disagio, quasi a voler obbligare lo spettatore a non distogliere lo sguardo.
Contrariamente a quanto accade di solito, la serie non si sofferma mai davvero sulla vittima. Di Katie sappiamo pochissimo: una foto, i suoi post, qualche parola della sua migliore amica, nessuna scena che mostri la sua famiglia e il loro dolore. Anche l’omicidio è mostrato solo da lontano, attraverso la ripresa distante di una telecamera di sorveglianza. Il focus è invece sul sistema in cui crescono i ragazzi come Jamie (o Adam, il figlio dell’ispettore Bascombe): il ruolo dei social media, il bullismo online e offline, l’incapacità degli adulti di comprendere davvero il mondo dei propri figli o studenti. I genitori non sanno cosa i ragazzi pubblicano online, non ne immaginano le dinamiche, si costruiscono un’idea di loro che non corrisponde alla realtà.
A scuola i ragazzi sono sfuggenti, maleducati, ridono e rispondono male agli insegnanti. Il mondo adulto appare distante, incapace di parlare lo stesso linguaggio dei giovani. I ragazzi, più degli adulti, sembrano essere consapevoli di questa incomunicabilità e, di conseguenza, li escludono da parte del loro mondo. Il disagio adolescenziale emerge in tutta la sua complessità: la frustrazione, il bullismo subito, il senso di rifiuto, l’incomprensione, la difficoltà a riconoscersi nei modelli di mascolinità imposti, la percezione dell’inutilità di comunicare con gli adulti che non potrebbero capire. La carenza di un’educazione emotiva e relazionale fa sì che questi sentimenti crescano fino a esplodere in modo imprevedibile.
La domanda che sorge spontanea è: Jamie è semplicemente un mostro o ci sono spiegazioni al suo gesto apparentemente inspiegabile? La serie non dà giudizi, ma mostra come non siano solo i genitori a crescere i propri figli o la scuola a educarli. Esistono anche influenze esterne, spesso sottovalutate, che hanno effetti profondi – e talvolta devastanti – sulla psiche dei ragazzi: un esempio sono i social media e le loro dinamiche. Adolescence non cerca quindi di individuare un unico colpevole per il crimine di Jamie, ma mostra come esso sia il risultato di una concatenazione di cause.
La famiglia di Jamie è unita, anche se imperfetta. Il padre, in particolare, rappresenta un uomo che ha cercato di essere un genitore migliore del proprio, ma che si trova a fare i conti con il suo fallimento. La scena finale, nella camera di Jamie, è affidata a lui: in un gesto struggente, rimbocca le coperte a un orsacchiotto appartenuto al figlio, simbolo della frattura tra l’infanzia e la tragedia che ha travolto la loro famiglia.
Toccante è anche il momento in cui i genitori di Jamie si confrontano per capire dove abbiano sbagliato. Si soffermano sul tempo che Jamie passava chiuso in camera, convinti che non ci fosse nulla di male, ignari delle insidie del mondo digitale.
La serie affronta anche il tema della comunità “incel”, un ambiente online frequentato da uomini che si definiscono “celibi involontari” e che sviluppano un’avversione tossica verso le donne. Secondo la loro visione distorta, l’80% delle donne sarebbe attratto solo dal 20% degli uomini, lasciando il resto a un’esistenza di solitudine e risentimento. Durante il colloquio con la psicologa, emerge come Jamie si senta brutto e insicuro, tanto da cercare approvazione persino dalla professionista stessa. Il bullismo, l’odio per sé stesso e una visione alterata delle relazioni sono aspetti rimasti invisibili alla famiglia e agli insegnanti.
Anche la polizia fatica a interpretare questo linguaggio della rete, a dimostrazione della distanza tra il mondo adulto e l’universo digitale degli adolescenti. Le dinamiche dei social media si sono evolute così rapidamente da diventare una realtà parallela, in cui le nuove generazioni sono immerse senza che gli adulti riescano davvero a comprenderne i pericoli.
Adolescence non offre tesi né risposte definitive, ma lascia lo spettatore con una serie di domande aperte e la sensazione, mai esplicitata, che ci siano più vittime e più carnefici. Anche Adam, il figlio dell’ispettore, bullizzato a scuola, potrebbe un giorno trasformarsi in un Jamie. La serie obbliga a guardare in faccia un problema che spesso gli adulti preferiscono ignorare: a tredici anni il cellulare può essere un’arma a doppio taglio, e la vita online ha conseguenze reali e indelebili. E quindi non basta vedere, bisogna davvero guardare. Ascoltare, indagare, comprendere un mondo in cui l’online e l’offline si mescolano in modo insidioso, dove un rifiuto reso pubblico sui social attraverso quelle che agli adulti sembrano delle innocenti emoticon, può diventare un marchio indelebile, dove le fragilità possono essere amplificate fino al punto di non ritorno.
Adolescence è una serie che andrebbe vista in condivisione tra adulti e ragazzi, come spunto per mettersi in dialogo e provare a capirsi di più.
Ogni episodio è un’esperienza che richiede concentrazione emotiva e intellettuale per l’intensità con cui è girato e interpretato. Lo spettatore vorrebbe fermarsi, tornare indietro, riflettere, ma il tempo della serie è il tempo reale, una ripresa unica senza montaggio: un’ora della nostra vita equivale perciò a un’ora della storia. Ed è un’ora, anzi quattro ore, che non si dimenticano facilmente.
Eleonora Fornasari