The Terminal List è una serie di azione che inizia come un mystery/thriller abbastanza interessante, trasformandosi poi in una pura storia di vendetta e di giustizia privata.
Sopravvissuto a una missione in Siria in cui il suo intero plotone è stato massacrato, il comandante dei Navy Seal James Reece torna in patria dalla moglie e dalla figlia con perdite di memoria e la sensazione di essere caduto in una trappola ben congegnata da un nemico invisibile. Tuttavia le sue teorie vengono etichettate come frutto dello stress da combattimento dai suoi superiori e dai suoi cari. Quando l’unico altro sopravvissuto del plotone muore in circostanze sospette e la sua famiglia viene sterminata, Reece capisce che il problema non è nella sua testa e inizia a indagare per farsi giustizia da solo, aiutato dal fratello d’armi Ben e dalla giornalista Katie.
L’indagine di Reece, tra visioni del passato e confusione sul presente, si trasforma presto in una marcia di vendetta che glorifica la figura del self made man che non trova nessun sostegno nell’establishment inaffidabile, distante e corrotto. Senza più nulla da perdere, forte solo della sua abilità di sopravvivenza e dei suoi valori da “uomo comune” americano (la famiglia, la fratellanza con i camerati e l’abilità con le armi), Reece e la sua squadra si faranno strada nel sangue attraverso un complotto che si districa tra interessi di multinazionali, ideali politici traditi e la piaga sociale dei reduci che impazziscono o si tolgono la vita.
Dal punto di vista dell’azione The Terminal List è una serie molto avvincente e di alta qualità. I limiti si trovano nel dispiegamento di una trama che in più punti dà l’idea di essere inutilmente complessa e non aggiunge nulla né ai personaggi né alla storia, e dal tema morale del protagonista che è di semplice vendetta, ma che incidentalmente coincide con una denuncia sociale tutta americana, con la quale è difficile empatizzare senza un approfondimento.
James Reece (interpretato da Chris Pratt), dopo aver perso i compagni d’armi, la moglie e la figlia, non ha più nulla se non il desiderio di capire perché è successo. Una volta che intuisce di essere la vittima di un complotto, il desiderio di indagine viene affidato a Katie, giornalista di frontiera impegnata per i diritti dei soldati dei reparti speciali, mentre Reece può dedicarsi “serenamente” alla vendetta. Questo doppio filo (da una parte, le indagini, dall’altra, il massacro) è plasticamente esplicitato alla fine dell’episodio tre, quando il compagno di squadra Ben chiede a Reece se vuole soddisfare il sangue o cercare le risposte (answers or blood). Reece senza battere ciglio si decide per il sangue, andando a caccia del sicario dei suoi cari. Tanti giri di parole e sottotrame di complotti (conti offshore, interessi politici, big pharma eccetera) per raccontare una storia di vendetta molto lineare e che forse poteva dispiegarsi in meno episodi (o addirittura in un film, come dicono in molti online).
In tutta la serie è chiaro il tentativo di far trasparire, dietro la grande azione dei war movie americani (da Behind the Enemy Lines a Zero Dark Thirty), la denuncia sociale sul sistema di sostegno sociale dei militari, che quando tornano dal fronte vengono lasciati a loro stessi senza adeguato supporto psicologico e che terminato il servizio ricevono una pensione non adeguata al rischio corso e al tempo passato fuori casa. Ma forse questa denuncia non riesce ad emergere del tutto, sia per la complessità della trama, che per il suo essere un tema molto specifico della realtà statunitense. Inoltre la complessità del tema poco si sposa con un dispiegamento dell’azione totalmente “all’americana”, in cui l’eroe per un motivo o per un altro si ritrova con risorse illimitate (armi, aerei, soldi, contatti…) riuscendo sempre a mettere fuori combattimento i buoni che lo inseguono e a uccidere i cattivi, e quando le prove non sono abbastanza, c’è l’infallibile bussola morale del protagonista, la sua capacità innata di sapere chi merita di morire, che lo aiuta a premere il grilletto.
Il quadro valoriale che emerge dalla serie è molto semplicistico e povero. In virtù della vendetta Reece è legittimato a commettere qualsiasi crudeltà e violenza, in una narrazione senza alcuna profondità morale o pietà: c’è solo l’invito a imbracciare le armi (anche quelle più crudeli) per difendere o vendicare i propri affetti. In nome del motto dei Long Live The Brotherhood (Lunga vita alla fratellanza militare) e per il suo essere capofamiglia che ha “fallito” nel difendere il proprio nido, l’uomo fa tutto quello che “deve” per pareggiare i conti.
Il modello familiare, restituito attraverso i numerosi flashback in cui Reece confonde passato e presente, è un modello in cui il padre lavora o si riposa mentre la mamma si occupa dei figli, che non dice molto sulla famiglia media contemporanea occidentale. Il posizionamento valoriale in un’area che si potrebbe genericamente definire “conservatrice”, aspetto sicuramente raro tra le serie più famose in circolazione oggi (The Terminal List è attualmente la seconda serie più vista su Prime in Italia), certamente non certifica la qualità antropologica della storia, che racconta di un’umanità molto violenta e incapace di interpretare con profondità la realtà circostante, con una capacità relazionale strettamente limitata a ciò che impone il sangue condiviso in battaglia o quello dei legami familiari.
Tommaso Cardinale
Temi di discussione