I’m not ok with this inizia in modo shock: vediamo una ragazzina dai capelli corti che corre per una strada deserta… completamente ricoperta di sangue. Da qui, e cioè dal finale, prende il via la storia, che ripercorre a ritroso come la protagonista sia arrivata a quel punto e perché. Scopriamo che la ragazza ha diciassette anni e si chiama Sydney Novak. Ha un carattere introverso e scontroso, un pessimo rapporto con la madre e ha da poco perso il padre. Sembra che non le importi di nessuno, se non del fratellino Liam e della sua migliore amica Dina, per cui ha una cotta. Incapace di esternare i propri sentimenti, Sydney si trova ad affrontare i problemi dell’adolescenza, cercando di capire la propria identità (anche sessuale). A complicare la sua vita, sarà la scoperta di alcuni superpoteri incontrollabili, che porteranno a conseguenze irrimediabili. La metafora dell’adolescente che si scopre supereroe e che deve imparare a convivere con poteri straordinari è tipica dei teen drama fantasy. I superpoteri diventano il simbolo della gestione delle emozioni, che in questa fase della vita possono essere viscerali e totalizzanti. Ed è quello che succede a Sydney, che ha un chiaro problema di gestione della rabbia: tutti i suoi brutti pensieri si realizzano e a farne le spese sono proprio le persone oggetto della sua aggressività. Solo l’amico Stan conosce il suo segreto, che sembra, tra l’altro, legarla indissolubilmente al padre morto. Così come l’inizio, anche il finale della prima stagione è scioccante (e violento), e lascia molti punti di domanda aperti.
I’m not ok with this è tratto dall’omonima graphic novel di Charles S. Forsman, autore tra l’altro di The End of The F*****g World, da cui è stata tratta un’altra discussa serie Netflix per teenagers, sempre diretta da Jonathan Entwistle. La serie si presenta proprio come una sorta di ibridazione tra quest’ultima e Stranger Things (con cui condivide parte della produzione), anche se decisamente non alla stessa altezza, soprattutto dal punto di vista della storia. Non mancano inoltre evidenti citazioni all’horror movie di Brian de Palma, Carrie – Lo sguardo di Satana (1976), non a caso tratto da un libro di Stephen King, autore ampiamente “saccheggiato” proprio da Stranger things.
Il primo problema della serie è che la protagonista non suscita grande empatia. Capiamo la sua sofferenza e la sua difficoltà nel dare forma a pensieri e rapporti interpersonali piuttosto confusi, ma non riusciamo, da spettatori, a tifare del tutto per lei. La sua rabbia ci fa paura, perché sembra non riuscire ad andare oltre. È così incontrollabile che, quando la pervade, Sydney è capace di distruggere una foresta intera (e anche peggio, come si scoprirà guardando l’ultima puntata). Insomma, da spettatori vediamo visivamente gli effetti della sua rabbia, ma questo dolore non arriva davvero al cuore. Mentre Undici, giovane protagonista di Stranger Things, anche lei dotata di poteri straordinari, era riuscita a mostrare la sua fragilità e la sua umanità, gestendo al contempo la propria forza e incanalandola in un’energia utile e positiva, Sydney si ritrova immersa nel male. Forse una serialità più lunga avrebbe potuto dare un respiro diverso alla storia, permettendole di evolversi all’interno della singola stagionalità, anziché troncarla con un colpo di scena, che lascia l’amaro in bocca per la mancanza di una prospettiva positiva.
Il formato è senz’altro originale, perché breve (solo sette puntate) e di breve durata (ogni puntata è come l’episodio di una sit-com), ma tale brevità non risulta del tutto funzionale. La formula della replicazione dei poteri, per esempio, risulta un po’ ripetitiva, ripresentandosi nei vari episodi senza troppe sorprese, e la velocità con cui gli episodi si susseguono non aiuta di certo ad empatizzare con gli stralunati e bizzarri personaggi.
I personaggi secondari, per esempio, non sono granché approfonditi, ad eccezione forse del giovane Stan, decisamente stravagante e originale che, con il suo affetto sincero, porta una ventata di positività nella vita di Sydney. L’attore è Wyatt Oleff, tra gli interpreti, tra l’altro, del più recente IT (altro grande classico di Stephen King). Anche l’attrice che impersona Sydney (Sophia Lillis) merita una menzione per l’interpretazione.
Infine, i colori, la musica e certe ambientazioni senza tempo restituiscono una vaga atmosfera anni ’90, strizzando l’occhio forse a un pubblico più adulto di quello a cui la serie vuole rivolgersi.
Eleonora Fornasari
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