1939. La principessa Märtha di Svezia e suo marito Olav, erede al trono di Norvegia, incontrano il Presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt e la moglie Eleanor. Ne nascerà una duratura amicizia, specialmente tra Märtha e Franklin: le loro strade tornano a incontrarsi prima del previsto, allorché Hitler invade la Norvegia (aprile 1940), in spregio alla sua neutralità. Mentre Olav segue re Haakon VII e il suo governo a Londra, la più tortuosa fuga di Märtha (e dei suoi figli) porta alla Casa Bianca, dove, suo malgrado, dovrà coinvolgersi in un’impegnativa e quanto mai urgente partita diplomatica per ottenere aiuto per il suo regno.
Basata su fatti realmente accaduti, Atlantic Crossing, produzione norvegese in ben quattro lingue originali (inglese, norvegese, svedese e danese), è una miniserie poco nota al grande pubblico, ma adatta a chi è in cerca di un tema semplice, ma non per questo superficiale. In altre parole, di un intelligente intrattenimento.
Attenzione però: al netto di un certo epico trionfalismo e del tentativo di essere struggente ad ogni costo, di prevedibili inni alla libertà e di qualche lacrima in eccesso, nel seguire la perlopiù schiva Märtha lungo la strada che la trascina inesorabilmente in politica (e nel pericolo), il tipico dilemma dei racconti sulle famiglie reali (vita personale contro ragion di Stato) viene posto in termini meno ovvi di quanto appare a prima vista.
«Io non voglio essere coinvolta nella politica»: così si esprime Märtha, lapidaria. Tuttavia, né a lei né al principe Olav sfugge la frequente titubanza tanto delle istituzioni norvegesi quanto di quelle straniere; ma mentre Olav non indugia ad arruolarsi e a pianificare la riconquista della Norvegia, per non ridurre il suo incarico militare a titolo simbolico e non far da spettatore alle delibere del re o del governo, Märtha, rifugiatasi a casa di Franklin (Roosevelt), pur sognando il giorno in cui potrà riunirsi ad Olav in patria, si guarda bene dall’intervenire, complice un’invincibile paura dei riflettori. Senonché, preso atto che il miglior modo per riunire la sua famiglia è convincere Franklin (rigorosamente neutrale) a sostenere la Norvegia, Märtha si convince ad intercedere presso di lui, muovendo i suoi primi, insicuri, passi.
Curiosamente, gli autori non hanno fretta di condannare la disponibilità di Märtha ad agire solo per ragioni personali come premessa a un conflitto d’interessi. Sì, lei stessa è cosciente di questo rischio, tanto da esprimere il timore che i suoi sentimenti annebbino il suo giudizio: eppure, in Atlantic Crossing, l’attaccamento alle persone care sembra essere non un ostacolo all’agire politico, ma piuttosto il suo primo motore. A far scendere Märtha in campo non sono, per quanto lei non li disdegni, generici valori o ideali: sono le persone che incontra, sia quelle che già conosce e ama, sia quelle che in cui s’imbatte strada facendo. Sono proprio loro ad allargare, anziché restringere, il suo orizzonte.
Forse non andrà a parlare volentieri con l’ambasciatore norvegese a Washington, ma non esita a trattenersi con mutilati di guerra o soldati semplici: se sono loro a chiederle di convincere gli Stati Uniti a vendere armi alla Norvegia, accetta di farlo. La politica è il territorio delle relazioni: c’è politica dovunque ci si implichi con gli altri esseri umani, indipendentemente dal possesso di un potere istituzionale. L’amicizia, l’amore, i rapporti personali possiedono un valore civico: sono il primo e più autentico tessuto del bene comune.
Significativo, in tal senso, un dialogo tra Märtha e la first lady Eleanor: nell’aiutarla ad affrontare un (temutissimo) discorso pubblico, Eleanor spinge Märtha a non accontentarsi di proclamare il suo amore per la libertà e la pace, perché non sono i principi astratti ciò di cui ci si innamora: persone, luoghi e oggetti sono il vero termine della nostra simpatia e devozione. Non è in nome dell’«umanità» che si agisce, ma in virtù dei singoli uomini che si incontrano su questa Terra.
Da qui, l’originale stile diplomatico della principessa di Svezia, che ispirerà a Franklin un discorso noto alla storia come il “Look to Norway” speech: chi si domanda se, come e per cosa valga la pena agire nello scacchiere internazionale «che guardi alla Norvegia» («let him look to Norway»), dice il Presidente. Quel «Guardate alla Norvegia», in fondo, significa «Guardate Märtha».
Questo suggerisce, anche se un po’ annacquato di retorica a buon prezzo, Atlantic Crossing: non si dà la vita per un’idea, ma per qualcuno.
Marco Maderna
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